Ritorno alla fatturazione mensile: cosa cambia rispetto a quella a 28 giorni

La legge ha stabilito il ritorno alla fatturazione mensile a discapito di quella a 28 giorni scatenando alcune polemiche: cosa cambia effettivamente?

Il nervosismo dei consumatori nasce a seguito della decisione degli operatori telefonici di ristabilire la modalità di fatturazione a 12 mesi applicando, di fatto, quanto disposto dalla legge 172 dello scorso 4 dicembre. La protesta non riguarda tanto la differenza di tempistica della bolletta, ma nel fatto che il ritorno alla cadenza mensile non sia coinciso con il ritorno alle vecchie condizioni tariffarie.

Infatti, gli operatori si sono limitati ad applicare la legge alla lettera.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando facciamo un esempio.
Poniamo che un utente disponesse di un contratto da 10 euro al mese con il proprio operatore, pari a 120 euro all’anno. Con la fatturazione a 28 giorni si è ritrovato con una rata in più da pagare (13 anziché 12) nell’arco dei dodici mesi, per un totale di 130 euro, pari a un aggravio annuo dell’8,6% in più.
Con il ritorno alla fatturazione mensile lo stesso utente ha visto cancellata una rata ma senza nessun guadagno dal punto di vista della spesa dal momento che il prezzo complessivo è rimasto infatti quello applicato dall’operatore prima dell’ultima variazione (130 euro l’anno).

Ed è da qui che è nata la protesta dei consumatori.
Infatti, il calcolo fatto dai consumatori è stato confermato dai maggiori operatori telefonici che hanno precisato che “la spesa annuale non cambierà”. Gli operatori partono infatti dall’assunto che le tariffe su cui riparametrizzare l’offerta siano quelle vigenti al momento della variazione, e quindi quelle già maggiorate dell’8,6%.

Senza considerare che, alcuni operatori, non faranno variazioni sul servizio. Infatti, pur passando la fatturazione da 28 a 30 giorni, in alcuni casi restano inviati i Gb, i minuti e gli sms senza incrementarli in modo proporzionale.

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